giovedì 25 febbraio 2010

Appunti di lettura

Johann Wolfgang von Goethe

“I dolori del giovane Werther”
Perché‚ non ti scrivo? Me lo domandi proprio tu che sei un sapiente! Dovresti indovinare
che sto bene e che... In breve ho fatto una conoscenza che mi tocca proprio il cuore. Ho...
non so quel che ho!
Sarà difficile che io possa raccontarti ordinatamente come ho conosciuto la più deliziosa
fra le creature. Sono soddisfatto e contento; e per conseguenza non sono un buono
storico.
Un angelo! ahi, questo ognuno lo dice della sua amata. E quindi non so come fare a dirti
come lei sia perfetta, perché‚ sia perfetta: in breve lei è riuscita ad avvincere tutto il mio
essere.
Una grande purezza si unisce a una grande intelligenza, e la bontà e l'energia, la pace
dell'animo e l'amore alla vita attiva armonizzano in lei. Tutte le cose che ti scrivo non sono
che chiacchiere inutili e vane astrazioni che non esprimono nulla di quello che lei è.
Un'altra volta... no, non un'altra volta, ora subito voglio raccontarti, perché‚ se non lo faccio
ora, non mi decido più. Giacché, a dirti la verità, da quando ho cominciato a scriverti, tre
volte sono stato sul punto di posare la penna, di far sellare il cavallo e di andar là. Eppure
stamattina ho giurato che non andrò oggi, ma vado ogni momento alla finestra per vedere
quanto è ancora alto il sole...
Non ho potuto resistere, son dovuto andare. Ora sono di ritorno, Guglielmo, mangerò il
pane e burro della mia cena e ti scriverò. Quale gioia è stata per me il vederla nel cerchio
vivace di tanti cari fanciulli, i suoi otto fratelli e sorelle!
Se continuo così, alla fine ne saprai quanto in principio; ma ascolta, e io mi sforzerò di
venire ai particolari.
Ti scrissi ultimamente che ho conosciuto il consigliere S. e che egli mi ha invitato ad
andarlo a trovare nel suo eremitaggio, o meglio nel suo piccolo regno. Io trascurai la cosa
e non vi sarei forse mai andato, se il caso non mi avesse indicato quale tesoro si
nascondeva in quella tranquilla contrada. I nostri giovanotti avevano organizzato un ballo
in campagna, e io pure dovevo prendervi parte. Offrii il braccio a una ragazza buona e
bella, ma nell'insieme insignificante, e fu stabilito che io avrei preso una carrozza e che
con la mia dama e una cugina saremmo andati al luogo scelto per la festa, prendendo con
noi, via facendo, Carlotta S.
- Ora farà conoscenza con una bella signorina - disse la mia compagna, mentre
traversavamo la grande foresta diradata per andare verso la casa di caccia - Badi di non
innamorarsene! - aggiunse la cugina. - E perché‚? - dissi io. - E' già promessa - rispose - a
un brav'uomo che ora è in viaggio: è andato a mettere in ordine i suoi affari perché‚ il
padre è morto, e a procurarsi un buon impiego. -
La notizia mi fu piuttosto indifferente.
Mancava ancora un quarto d'ora perché‚ il sole raggiungesse la montagna, quando
arrivammo alla porta della villa.
Era un caldo soffocante, e le signore mostravano qualche preoccupazione per un
temporale che alcune nuvole bianche, grige e cupe sembravano far presagire,
radunandosi all'orizzonte. Io calmai i loro timori, dandomi l'aria di saper presagire il tempo,
benché io stesso temessi che la nostra festa sarebbe stata turbata.
Io ero sceso di carrozza, e una donna, che era venuta alla porta del cortile, ci pregò di
scusare un momento, che la signorina Carlotta sarebbe venuta subito. Traversai il cortile,
andai verso la casa ben costruita e quando salii la scala esterna e spinsi la porta, si
presentò ai miei occhi il più grazioso spettacolo che mai avessi visto. Nella sala d'entrata
sei fanciulli dai due ai sei anni si agitavano intorno a una bella giovinetta, di media statura,
ornata di una semplice veste bianca con nastri rosa al petto e alle braccia. Aveva in mano
un pane nero e tagliava a ciascuno dei piccoli che le erano intorno un pezzo proporzionato
all'età e all'appetito; lo porgeva a ognuno gentilmente, e ognuno proferiva il suo spontaneo
"Grazie", dopo aver tenuto a lungo le manine in alto, ancor prima che il pane fosse
tagliato; poi si allontanavano con la loro merenda saltellando, o alcuni, secondo il loro più
tranquillo carattere, si avvicinavano quieti al portone per vedere i forestieri e la carrozza
sulla quale doveva montare la loro Carlotta.
"Vi prego di perdonarmi - disse lei - se vi ho dato il fastidio di entrare e se ho fatto
attendere le signore. Nel vestirmi e nel dar le disposizioni necessarie alla casa durante la
mia assenza, ho dimenticato di dare la merenda ai miei piccoli ed essi vogliono che il pane
sia tagliato proprio da me". Balbettai un complimento insignificante; tutta la mia anima era
presa dal suo aspetto, dal suono della sua voce, dal suo portamento, ed ero appena
rinvenuto dalla sorpresa quando lei corse nella sua camera a prendere i guanti e il
ventaglio. I bambini mi guardavano e stavano da parte, a una certa distanza; mi avvicinai
al più piccolo: un bellissimo bimbo, che si ritrasse da me, proprio quando Carlotta
rientrava. Lei gli disse: "Luigi, dai la mano a quel signore, tuo cugino". Il bimbo obbedì
graziosamente, e io non potei fare a meno di abbracciarlo, nonostante il suo nasino
imbrattato. "Cugino?" dissi io, mentre le porgevo la mano, "credete che io sia degno della
gioia di esser vostro parente? - Oh", disse lei, con un arguto sorriso, "la nostra parentela è
molto estesa; mi dispiacerebbe che voi foste il peggiore di tutti!".
Scendendo diede a Sofia, una fanciulla di circa undici anni, la maggiore dopo di lei,
l'incombenza di badare ai più piccoli e di salutare il padre quando fosse ritornato dalla sua
cavalcata. Ai piccoli raccomandò di ubbidire a Sofia come avrebbero obbedito a lei, ed
alcuni lo promisero sinceramente. Ma una piccola impertinente di circa sei anni disse: - Ma
non sei tu, Carlottina, e noi preferiamo quando sei tu! - I due ragazzi più grandi si erano
arrampicati sulla vettura e, alla mia preghiera, la sorella permise loro di accompagnarci
fino al limite della foresta, se promettevano di non farsi dispetti e tenersi ben saldi.
Ci eravamo appena seduti e le signore si erano da poco scambiati i saluti e le impressioni
sui loro vestiti, e specie sui cappelli, e avevano passato in rivista la compagnia che ci
attendeva, quando Carlotta fece fermare il cocchiere e scendere i fratelli, i quali vollero
baciarle un'altra volta la mano, ciò che il primo fece con tutta la tenerezza con cui avrebbe
potuto farlo un ragazzo di quindici anni, e l'altro con vivacità e spensieratezza. Lei salutò
ancora una volta i bambini e proseguimmo il cammino.
La cugina le domandò se aveva finito il libro che recentemente le aveva mandato. - No,
disse Carlotta, non mi piace e ve lo renderò: anche il precedente non era migliore. -
Rimasi meravigliato quando domandai di quali libri si trattava e lei mi rispose... (Nota
dell'editore: “Si è creduto necessario sopprimere questo passo della lettera per non dare
ad alcuno, motivo di lamento. Benché in fondo ogni autore darebbe ben poca importanza
al giudizio di una fanciulla e di un giovane”. Fine della nota). Trovavo una profonda
individualità in tutto ciò che lei diceva e a ogni sua parola vedevo un nuovo fascino, un
nuovo raggio del suo spirito brillarle sul viso che si andava animando sempre più, perché‚
lei sentiva che io la comprendevo. "Quando ero più giovane", diceva, "nulla mi dilettava
quanto i romanzi. Sa Dio come ero felice se potevo la domenica sedermi in un angolo e
seguire con tutto il cuore le vicende liete o tristi di una Miss Jenny. Non nego che ancor
oggi questo genere di libri abbia attrattiva per me; ma giacché molto raramente posso
prendere in mano un libro, bisogna che esso almeno sia completamente di mio gusto. E
l'autore che io preferisco è quello che rappresenta il mio mondo, nel quale tutto avviene
come intorno a me, le cui storie mi interessano e mi stanno a cuore come la mia vita
domestica, che non è proprio un paradiso, ma che in complesso è una fonte di gioie
inesprimibili".
Io facevo sforzi per nascondere la commozione che mi destavano quelle parole. Ma non
potei durare a lungo, perché‚ quando la sentii parlare incidentalmente, con profonda verità
del Vicario di Wakefield di... (Nota dell'editore: “Anche qui sono stati tralasciati i nomi di
alcuni autori nazionali. Quelli che godono il favore di Carlotta lo sentiranno nel proprio
cuore, se leggeranno questa pagina, e del resto nessuno ha bisogno di conoscere i gusti
di lei.” Fine della nota), non potei più trattenermi, le dissi tutto quello che mi venne in
mente, e solo qualche tempo dopo, quando Carlotta rivolse la parola alle altre, osservai
che per tutto quel tempo erano rimaste con gli occhi spalancati, come se si fossero trovate
in un altro mondo. La cugina mi guardava con aria canzonatoria, ma non me ne importava
nulla.
La conversazione cadde poi sui piaceri della danza.
- Se pure questa passione è colpevole, disse Carlotta, confesso che non c'è cosa al
mondo che io metta al di sopra del ballo. E se mi passa qualcosa di triste per la testa,
basta che io strimpelli una contradanza sul mio piano scordato e subito mi torna il buon
umore. -
Durante la conversazione quanto mi beavo dei suoi occhi neri! E come le sue vivide labbra
e le sue fresche guance deliziavano tutta la mia anima! Ed ero così preso dall'alto
significato dei suoi discorsi che non udivo le parole con le quali si esprimeva - e tu che mi
conosci puoi farti un idea di questo. -
In breve scesi di carrozza come in preda a un sogno, quando ci fermammo davanti alla
casa della festa, ed ero così perduto nelle mie fantasticherie, tra i bagliori del crepuscolo,
che appena sentii la musica il cui suono scendeva fino a noi dalla sala illuminata.
Il signor Audran e un certo N. N... - come si può ricordare tutti i nomi? - che erano i
ballerini della cugina e di Carlotta ci ricevettero allo sportello della carrozza,
s'impadronirono ciascuno della sua dama, e io condussi di sopra la mia.
Cominciammo a ballare il minuetto: io invitai una signora dopo l'altra, e proprio quelle che
avevano meno grazia non si decidevano mai a porgere la mano e a finire il ballo. Carlotta
e il suo cavaliere cominciarono una danza inglese e tu puoi immaginare quale fu la mia
gioia quando dovemmo metterci in figura con lei!
Metteva nel ballo l'anima e il cuore, il suo corpo si muoveva armonioso, lei era spensierata
e ingenua come se non pensasse, non sentisse che la danza; e certo in quel momento
ogni altra cosa era sparita per lei.
La pregai di concedermi la seconda contradanza; mi promise la terza e, con la più grande
franchezza, mi disse che amava molto il valzer. "L'uso vuole che per il valzer ogni
cavaliere resti con la sua dama, ma il mio balla male, e mi sarà grato se gli risparmierò
questa fatica. La vostra ballerina è nelle stesse condizioni e invece ho visto nella danza
inglese che voi siete molto abile; se volete dunque ballare il valzer con me, andate a
chiedermi al mio cavaliere, e io m'intenderò con la vostra dama".
Le diedi allora la mano, e fu deciso che nel frattempo il suo cavaliere avrebbe tenuto
compagnia alla mia ballerina.
Via dunque! Ci divertimmo dapprima a intrecciare variamente le braccia. Con quale grazia
e leggerezza lei si muoveva! Venne poi il momento di cominciare il valzer; le coppie
cominciarono a girare le une intorno alle altre come sfere celesti, e ci fu un po' di
confusione perché‚ pochi sanno ballare bene. Noi fummo prudenti e lasciammo sfogare gli
altri; poi quando i meno abili ballerini ebbero lasciato libero il campo, ci mettemmo in lizza
con un'altra valida coppia: Audran e la sua dama. Non sono mai stato così abile e leggero:
non ero più un uomo. Avere fra le braccia un'amabile creatura, girare con lei in un turbine
come la tempesta, e non veder più niente intorno a s‚... Per dirti la verità, Guglielmo, ho
giurato che se amassi una fanciulla e aspirassi a lei, dovrebbe ballare il valzer soltanto con
me e non con altri, a qualunque costo. Tu mi capisci, è vero?
Facemmo qualche giro, camminando per la sala, per riprendere fiato. Poi lei sedette, e le
arance che avevo messo da parte, le sole che mi restavano, ci furono utilissime... soltanto,
io mi sentivo il cuore trafitto quando, per complimento, lei offriva uno spicchio a una vicina
indiscreta.
Alla terza danza inglese, noi formavamo la seconda coppia. Mentre seguivamo la colonna
danzante e io (Dio sa con quale gioia) pendevo dal suo braccio e dal suo sguardo, dove
brillava la più sincera e pura espressione di piacere, arrivammo presso una signora che
avevo già osservato per il suo aspetto piacente benché non fosse più giovane. Guardò
Carlotta sorridendo, alzò un dito in atto minaccioso e, passando, pronunziò due volte il
nome di Alberto in tono significativo.
Chi è Alberto? se non sono indiscreto, chiesi a Carlotta. Lei stava per rispondermi, ma
dovemmo separarci per formare una catena di otto, e mi parve scorgere, quando
c'incontrammo, l'ombra di una preoccupazione sulla sua fronte. Quando mi diede la mano
per la Promenade, disse: "perché‚ dovrei nascondervelo? Alberto è un onest'uomo al
quale sono quasi promessa". Non era una novità per me: le ragazze me lo avevano detto
lungo il cammino, eppure mi parve una notizia inattesa perché‚ non l'avevo considerata in
rapporto a lei che in pochi minuti mi era diventata tanto cara.
In breve, mi confusi, fui smemorato, mi trovai in mezzo a un'altra coppia, guastai ogni
cosa, e ci volle la presenza di spirito di Carlotta che mi tirava di qua e di là per ristabilire
l'ordine al più presto.
Il ballo non era ancora finito quando i lampi, che da molto tempo vedevamo brillare
all'orizzonte e che sempre avevo dati per lampi di calore, si fecero più frequenti e il tuono
coprì il suono della musica. Tre dame fuggirono, e i loro cavalieri le seguirono: il disordine
divenne generale e la musica cessò. Quando una disgrazia o qualche cosa di spaventoso
ci coglie immersi nel piacere, esso produce naturalmente in noi una forte impressione, in
parte a causa del contrasto che ce lo fa sentire più vivo, in parte perché‚ i nostri sensi sono
aperti alle emozioni e ricevono più rapidamente ogni impressione. A questo io devo
attribuire lo strano contegno al quale vidi abbandonarsi molte signore. La più saggia si
mise in un angolo, volgendo la schiena alla finestra e turandosi le orecchie; un'altra
s'inginocchiò davanti a lei e le nascose la testa sul grembo; una terza venne tra loro due e
abbracciò la sorellina in un torrente di lacrime. Alcune volevano ritornare a casa; altre non
sapevano più quello che facevano e non avevano sufficiente presenza di spirito per tenere
a freno i giovani storditi che sembravano molto occupati a raccogliere dalle labbra delle
belle tremanti le angosciose preghiere che esse levavano al cielo. Alcuni signori erano
scesi per fumare in pace la loro pipa, e il resto della compagnia accettò il saggio invito
dell'ostessa che ci offriva una stanza fornita di imposte e di tende. Appena vi fummo
entrati Carlotta si occupò di disporre le sedie in circolo e quando, assecondando la sua
preghiera, tutti ebbero preso posto, lei cominciò a spiegare un gioco. Vidi parecchi
cavalieri che, nella speranza di un pegno gustoso, avevano l'acquolina in bocca e
tendevano le loro membra.
- Giochiamo a contare, disse Carlotta, e ora attenzione! Io andrò in giro da destra a
sinistra e voi conterete uno dopo l'altro, ciascuno il numero che gli toccherà, il computo
deve essere rapido come il lampo, e chi esita o si sbaglia ha uno schiaffo... e così fino a
mille. - Era divertente a vedersi. Lei camminava in circolo, col braccio teso. "Uno" disse il
primo, "due" continuò il secondo, "tre" il seguente, e così di seguito. Poi lei cominciò ad
andare in fretta e sempre più in fretta: Uno si sbaglia: Paf! uno schiaffo e, poiché‚ il vicino
ride, anche Paf! E sempre più in fretta. Io stesso ebbi due colpi e, con segreto piacere, mi
parve che erano più forti di quelli che dava agli altri. Uno scoppio generale di risate e di
chiasso pose fine al gioco prima che si arrivasse a mille. Gli amici fra di loro più intimi si
tirarono da parte insieme; il temporale era cessato e io seguii Carlotta nella sala.
Via facendo mi disse: "Con gli schiaffi hanno dimenticato il temporale e tutto il resto!". Non
seppi rispondere nulla, ma lei continuò: "Io ero una delle più paurose, ma nel farmi forza
per dar coraggio agli altri sono diventata coraggiosa io stessa".
Ci avvicinammo alla finestra: tuonava in lontananza, una benefica pioggia cadeva sulla
campagna e i più soavi profumi salivano fino a noi nell'aria tiepida. Carlotta si appoggiava
col gomito alla finestra, il suo sguardo errava sui campi, si levava al cielo, poi si posava su
di me, io vidi i suoi occhi pieni di lacrime, lei posò la sua mano sulla mia e disse:
Klopstock! Io ricordai l'ode sublime cui lei pensava in quel momento e mi immersi nel
torrente di sensazioni che la sua parola aveva destato in me. Non potei trattenermi, mi
chinai sulla sua mano e gliela baciai inondandola di dolci lacrime. E la guardai ancora
negli occhi! Nobile poeta, se tu avessi potuto vedere in quello sguardo la tua apoteosi! e
se io potessi ora non sentir più pronunciare il tuo nome così spesso profanato

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